“Carissimo Renato, ti farò sorridere. Io sono un cupidissimo amatore del parmense culatello (con una T o con due?).
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Esausto dalla malinconia operosa, dianzi sentivo i morsi della fame; e anche mi sentivo la struttura delle costole travagliata come il più fiero de’ tuoi pezzi d’argento, e pativo nella bocca dello stomaco il rostro d’una delle tue Aquile vendicatrici! Mentre gridavo non senza ferocia: “Subito, subito, subito tre fette di culat(t)ello!”, la donna appariva co’ tuoi pacchi preziosi. Il più grande aveva la forma conica della compatta cosa di fibra rossa e salata. O Fratelmo, l’allucinazione della fame m’ha strappato un grido di riconoscenza e di felicità. “Brozzi! Un culatello! E come ci ha pensato?”. Pongo le mani sul pacco e sento il becco eroico dell’Aquila… Ti confesso che, per un così bello e potente raggio di arte vera, ho dimenticato la delizia golosa. La donna di servizio, la Milia, potrà testimoniarti l’esattezza del mio racconto. Interrogala. Fin d’ora, ti son grato del profondo pasto che tu porti al mio spirito. Stupenda è l’Aquila d’argento (è mia); stupenda è quella del “più alto”; e il pulcino è tanto saporitamente trattato che, per mangiarmelo beato, attenderò che ci sia pollastro. Ti vedrò stasera. Ti abbraccio. Perdona al delirio del Famelico in bellezza”. Gabriele d’Annunzio 30 VI 1931
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*Lettera di Gabriele d'Annunzio a Renato Brozzi. - [Gardone Riviera], 30 giugno 1931. - 7 cc. ms. a lapis.